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VIAGGIO ALL’INTERNO: SAN FELE

San Fele

Alcuni graffiti, ritrovati nelle grotte di Santa Croce, di Pierno e di Civita, attestano che il territorio fu abitato, nel III-II millennio a.C., dagli Ausoni. San Fele nasce nel 969 come Castrum, voluto da Ottone I di Sassonia per difendersi dagli assalti bizantini, ma la fortezza divenne pure luogo di prigionia di personaggi celebri: Enrico di Baviera, Enrico, figlio di Federico II ed Ottone di Brunswich.
Nel Catalogo dei Baroni del XII secolo è Sanctus Felix e Sanctus Felis, mentre nelle carte angioine è Terra S. Felicis, dal nome del santo vescovo africano di Tibari, venerato a Venosa, da dove si suppone siano venuti i primi abitanti, che costruirono le loro case a ridosso del castello.
Durante la dominazione angioina si chiamò San Felì e sotto gli aragonesi San Fele. Secondo il Racioppi, il nome d’oggi è la pronuncia italica popolare della pronuncia francese San-Felì. I signori che si avvicendarono dall’XI al XV secolo nel possesso del feudo, ambito per la sua impenetrabile posizione e come punto strategico di tutta la Valle di Vitalba, godevano dei favori dei re dell’epoca. Federico II nel 1240 e Carlo d’Angiò nel 1270 fecero ampliare il castello.
Nel 1613 il feudo fu acquistato dalla famiglia Doria, cui rimase in possesso fino all’eversione feudale. Attualmente restano alcuni ruderi.
Il paese è noto per aver dato i natali (fig.1) a Giustino de Jacobis, missionario in Africa, beatificato da Pio XII e annoverato nell’elenco dei Santi da Paolo VI. In Piazza Garibaldi si può ammirare (fig. 2) il Monumento di S. Giustino De Jacobis a lui dedicato dai suoi concittadini. Nell’opera bronzea si nota la modulazione della luce attraverso sottili e gradualissimi passaggi di piani in una visione che non è più plastica, ma pittorica. Il gioco del contrasto, tra la superficie levigata del viso e delle mani e la ricchezza delle pieghe dell’abito, trova una grande espressione comunicativa. L’immagine s’immerge così nella struttura architettonica della piazza, creando intorno a sé una poetica risonanza spaziale.
Salendo una bella scalinata si giunge (fig. 3) alla Chiesa Madre di Santa Maria della Quercia, costruita nel 1514 da artisti del luogo. La cupola fu edificata tra il 1754 e il 1757 da allievi della scuola del Vanvitelli ed è dominata dall’imponente campanile. L’interno è a tre navate a croce greca. Nel presbiterio, di stile barocco, si nota l’altare maggiore in marmo policromo impreziosito dal Tabernacolo cesellato a sbalzo che evidenzia Gesù Risorto e un Sole.
Sull’altare c’è (fig. 4) un prezioso Crocifisso ligneo del Seicento, dalla sofferta struttura volumetrica del corpo di Cristo che costruisce una forma entro uno spazio aperto. L’interno della chiesa mostra sei altari di  marmo policromo del Seicento, belle statue lignee del Settecento, tra cui S. Vito, (fig. 5) l’Immacolata, S. Donato, S. Giustino. Conserva pure diverse tele dipinte ad olio, come quella del Seicento, raffigurante Santa Rosa da Viterbo, attualmente presso la Sovrintendenza ai Beni Artistici e Storici di Basilicata per il restauro.
6 FONTE BATTESIMALE
A destra dell’ingresso si nota (fig.6) un grande fonte battesimale in pietra lavorata e legno intarsiato.
Il centro storico è un intreccio di modeste case e palazzi signorili. I portali decorati con stemmi di famiglia e balconi arricchiti (fig. 7) da elaborate ringhiere di ferro battuto testimoniano l’abilità dell’antico artigianato locale. Le strade strette evidenziano vicoli, vicoletti e scalinate, che s’intersecano fra loro, producendo particolari effetti di luce. Caratteristici sono i suppòrtë, (portici), adibiti allo scolo dell’acqua piovana e a collegare strade e case. L’irregolarità delle case è dovuta ai dislivelli naturali del terreno (le abitazioni si sviluppano lungo le ripide pendici dei monti Torretta e Castello) ed è accorgimento per spezzare la forza dei venti invernali e difendersi dal calore estivo. Tra le residenze signorili si citano: Casa natale di S. Giustino de Jacobis in Piazza Marconi,  Palazzo Frascella in Via Francesco Stia (che si caratterizza per la sua  monumentalità e perché riproduce la facciata dell’antica chiesa di S. Giacomo), Palazzo Caputi in Corso Umberto, (fig. 9) Palazzo Stia-D’onofrio (abitato da Francesco Stia, generale della Guardia Nazionale, che si distinse nella lotta contro i briganti), Palazzo Cioffari in Via Masaniello (abitata nell’Ottocento dalla nobile famiglia Cioffari che fu sterminata dalla banda dei briganti di Michelangelo Natale).
In contrada S. Vito è da notare (fig. 10) il Monumento ai Caduti (1923), fatto erigere dalla colonia sanfelese residente in America.
Nella Contrada Pierno si trova (fig. 11) il Santuario della Madonna di Pierno, fondato dall’eremita Guglielmo da Vercelli, in seguito al ritrovamento della statua lignea della Madonna, nascosta in una grotta del monte Pierno dai monaci romiti Basiliani del Monte Santa Croce, quando furono messi in fuga dai pirati saraceni. La primitiva cappella, divenuta piccola per l’affluenza dei fedeli, fu ingrandita tra il 1187 e il 1197 in stile romanico-normanno, sotto la direzione dell’architetto Sarolo, il più prestigioso dell’epoca, che fu scelto da Giliberto II di Balvano il quale intendeva farne luogo di sepoltura per la sua famiglia. Per ricordare quest’opera il signore fece scolpire un’iscrizione che si legge sul portale della chiesa. Il nuovo tempio fu consacrato dal Papa Onorio III che, in tale occasione s’incontrò con Federico II per discutere sul problema delle discordie fra i due poteri.
Il santuario subì gravi danni per i vari terremoti e, dopo di quello del 1980, l’opera di ristrutturazione non è ancora completata. La facciata è in stile romanico e il portale presenta decorazioni a mosaico con pietre bianche e lava tipiche di diverse culture: da quella araba a quella bizantina, da quella romanica a quella normanna. L’interno è (fig. 12) d’impianto basilicale: a tre navate, divise da due filari di colonne e un pilastro collegati da archi a tutto sesto. Ha volta a botte e soffitto ligneo. Le colonne, che reggono gli archi a tutto sesto, mostrano capitelli di vario stile. Fra le arcate ci sono (fig. 13) interessanti mensole con meravigliose decorazioni barbare, di tematica plastica bizantineggiante la cui matrice cade nella vasta produzione di mostri alati, tipica dell’arte orientale, persiana e mesopotamica, diffusa in occidente dai Bestiaria, manuali per miniature, avori e stoffe e per sculture. La navata centrale è sopraelevata e il presbiterio è stato aggiunto in un periodo successivo. Sull’altare maggiore in pietra locale c’è in una nicchia (fig.14) una statua lignea della Madonna di Pierno del Settecento. Le figure della Madonna e del Bambino sono solide, volumetriche e si scalano entro uno spazio ben definito; la scultura è perfettamente plausibile in relazione alle modalità della visione ottica, come se lo scultore avesse trasferito nella materia un episodio cui fosse stato presente. Durante i recenti lavori di scavi per il ripristino della piazza antistante la chiesa, effettuati dalla Sovrintendenza ai Monumenti della Basilicata, sono venuti alla luce i resti di un monastero (probabilmente quello di San Guglielmo) e, tra i muri perimetrali, uno scheletro umano in perfetto stato di conservazione, appartenente ad un monaco vissuto nel XIII secolo.
Bibliografia
  • iacomo Racioppi, Storia della Lucania e della Basilicata, Ermanno Loescher & C., 1889.Ristampa anastatica, Matera, Grafica BMG.
  • V. M. Pascale, S. Fele nella storia delle dominazioni sassone, normanna e sveva, Napoli,Laurenziana, 1988.
  • V. M. Pascale, La valle di Vitalba e S. Fele nella storia della Dominazione Angioina e Aragonese, Napoli, Laurenziana, 1989.
  • Regione Basilicata, Potenza Matera City Business, Torino, Stamperia Artistica Nazionale,
  • Angelo Lucano Larotonda e Rosario Palese, Potenza una provincia di cento comuni, Milano,Motta Editori S.p.A., 1999.
  • Scuola Media Statale “Faggella”, Alla scoperta di un Paese Lucano…, Rionero in Vulture, LaGrafica Di Lucchio, 1994.
© Regione Basilicata
di Olonda Carella & Salvatore Sebaste

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